I voucher Inps sono uno degli strumenti maggiormente adoperati in Italia. A partire dall’anno 2008 quasi quattro miliardi di euro sono stati spesi per questo strumento di retribuzione atipico.
Questi buoni lavoro sono molto apprezzati perchè hanno il vantaggio di essere esentasse: il costo lordo è pari a 10 euro, mentre il netto percepito dal prestatore d’opera è di 7,50 euro (la differenza rappresenta la tassazione Inail).
In seguito alla liberalizzazione della legge Fornero datata 2012, che ne ha permesso l’uso in ogni settore, e grazie alla somma ampliata dal Governo Renzi (da 5 mila a 7 euro all’anno), questi buoni hanno iniziato a a essere usati con una frequenza non indifferente, scatenando la polemica circa il radicamento delle forme di precariato di oggi.
Le Proposte dei sindacati
Proprio per questa ambiguità, Cgil ha intenzione di domandare, a partire dall’11 gennaio 2017, l’abrogazione dei voucher, insieme al ripristino dell’articolo 18: lo scopo è proprio quello di annullare gli effetti del Jobs Act.
Anche la Cisl appoggia queste iniziative, proponendo di eliminarli nell’immediato nei settori agricolo ed edile.
Il ministro del Lavoro a breve leggerà il primo dossier sulla tracciabilità dei buoni, documentazione resa obbligatoria a partire da ottobre.
Certo è che l’obiettivo per cui tali buoni sono stati immessi nell’economia è in buona fede: lo scopo è quello di combattere le prestazioni irregolari, in nero, grazie a strumenti di tassazione e di pagamento snelli e flessibili, che non pongano nessun vincolo.
Tuttavia ad oggi i dati allarmano: pare in fatti che le Regioni che maggiormente usano questi voucher sono le stesse che risultano più produttive. Questo può essere il campanello d’allarme, insieme all’inconfutabile dato: vi è un soggetto retribuito con voucher ogni tre dipendenti.
Una situazione che, secondo i sindacati, forse sta combattendo il lavoro nero, ma sta cronicizzando la precarietà italiana, cristallizzando l’attuale situazione di disoccupazione.